La chiesa rupestre di Sant’Angelo
rappresenta un unicum nell’Italia meridionale per il suo sviluppo su due diversi piani ipogei, con l’invaso inferiore avente destinazione funeraria (esempi analoghi sono presenti in Asia Minore). La chiesa presenta un pronao (piccolo atrio) scoperto nella parte antistante l’ingresso ed una celletta alla sua sinistra, probabilmente riparo del custode, collocata presso una cisterna per la raccolta delle acque. Alla chiesa si accede attraverso un doppio ingresso, di cui quello a destra è ornato da una duplice ghiera.
All’interno il tempio si presenta a tre navate e tre absidi. Probabilmente la sua struttura originaria era binavata, e la navata sinistra, presso la parete nord, dovrebbe essere stata scavata successivamente, come si evidenzia dallo stile architettonico, differente rispetto al resto della chiesa, delle sei nicchie a sesto ribassato e listellate, scandite da colonnine con fusto liscio su plinto. Si pensa che per scavare questa navata sinistra si sia sacrificato parte di un preesistente affresco di S. Giorgio, databile alla fine del XIII secolo. Insieme alla terza navata, da ascriversi quindi con tutta probabilità al XIII-XIV secolo, si è scavata la scala di accesso alla chiesa inferiore e la stessa cripta inferiore, destinata ad usi funerari.
Parimenti, anche la parete sud ha subito rimaneggiamenti che hanno falsato i volumi della classica planimetria basilicale a croce greca inscritta. In questa parete si può notare la presenza di tre grandi nicchie, di cui quella centrale a fondo piatto.
La chiesa si presenta liturgicamente orientata, con le absidi rivolte ad est. Le navate sono divise da tre pilastri monoliti, mentre le absidi presentano il fondo piatto in quella centrale e concavo nelle laterali. Nell’abside centrale, ornata all’estradosso da una triplice ghiera, è posto un altare di tipo latino, accostato alla parete, mentre nelle absidi laterali affiorano monconi di altari greci. Interessante è anche il soffitto, che presenta decorazioni diverse per ogni abside: il modello a crociere costolonate della navata destra è chiaramente di derivazione romanica e conferma la posteriorità nello scavo della navata rispetto al resto della chiesa.
Sul pavimento è appena visibile la traccia della originaria iconostasi, probabilmente abbattuta nella fase devozionale benedettina della cripta. Alla sinistra dell’ingresso, al di sopra della scalinata di accesso alla cripta inferiore, si registra infine la presenza di una piccola cella, forse il sacrarium, corredato di nicchiette nella parete ove venivano conservati gli utensili, ed ancora di due pozzetti scavati nel pavimento, ove presumibilmente si raccoglievano le offerte dei fedeli.
Gli affreschi della chiesa rupestre di Sant’Angelo
Gli affreschi presenti in questa chiesa, definibili più correttamente “tempere su muro”, sono fortemente deteriorati. Il degrado, oltre agli atti di vandalismo da parte di uomini della nostra “civiltà”, è dovuto all’inquinamento e soprattutto alle infiltrazioni di acqua, favorite in passato dal dissodamento del terreno sovrastante e circondante le cripte. Infatti l’infiltrazione costante dell’acqua e la conseguente elevata umidità della parete consentono il rapido sviluppo di microrganismi che attaccano il disegno e permettono lo sviluppo di una flora di licheni e funghi, i quali deteriorano in maniera rovinosa gli affreschi succhiando il pigmento colorato (costituito da terre locali od importate) e facendo rimanere intatto solo l’intonaco.
La datazione degli affreschi della chiesa di Sant’Angelo si fa risalire generalmente al XIII-XIV secolo, anche se è probabile che molti di essi ricoprano altri strati palinsesti di intonaco, ovvero dipinti sottoposti di epoca precedente.
Partendo a destra dell’ingresso troviamo effigiato un Santo Vescovo con pallio crociato. Non si sa chi sia, poichè l’unica iscrizione esegetica visibile è la SCS che sta per S(an)C(tu)S, e si può solo affermare che si tratta di un vescovo in quanto il pallio crociato rappresenta un contrassegno episcopale. Il santo Vescovo porta in mano il libro, tipico attributo iconografico dei dottori della Chiesa: i Santi ed i Dottori della Chiesa vengono raffigurati generalmente recanti in mano il libro chiuso, in quanto nella Bibbia è scritto che solo il Cristo ha il potere di aprire il rotolo della Legge.
Il palinsesto contenente i resti degli affreschi di una Madonna con Bambino e di un Santo anonimo si trova nel primo dei tre archivolti che segnano la navata sud. Lo strato inferiore rappresenta la figura di una Madonna seduta in trono che regge sulla sinistra il Bambino; lo strato sovrapposto è una parte del volto di un Santo. Sulla faccia esterna dell’archivolto sono rappresentati due Angeli in volo vestiti di rosso.
Segue San Silvestro Papa, altro affresco palinsesto racchiuso entro una cornice di foglie di acanto stilizzate, tipiche dello stile corinzio. Sono due le rappresentazioni di S. Silvestro, d’epoca successiva: la figura più grande presenta sulla testa la mitra (copricapo alto e rigido indossato dal papa, dai cardinali e dai vescovi nelle liturgie solenni) e regge con la mano sinistra il pastorale (bastone alto, con l’estremità superiore ricurva, simbolo dell’autorità religiosa), attributo iconografico dei Papi. Visibile è anche l’iscrizione esegetica. San Silvestro è noto per aver convertito l’imperatore Costantino, ed aver quindi consentito ai cattolici di professare liberamente la loro fede.
La scena di un Martirio di Santo Stefano si intravede appena nel secondo archivolto, ed è anche visibile la scritta CARNIFICES. La parte sinistra dell’affresco è stata distrutta, quasi sicuramente durante i lavori di allargamento della navata.
Anche la scena successiva, dipinta probabilmente nel XIII secolo e di buona fattura artistica, è appena visibile nella parte sinistra dell’archivolto. Si tratta del Battesimo di Gesù, e riporta l’iscrizione esegetica di San Giovanni Battista. Appena distinguibile nel sottarco, che doveva essere in origine interamente affrescato, è un San Martino.
Segue quindi il dittico palinsesto dei Santi Vito e Paolo. Secondo alcuni autori, la presenza in questa chiesa di una raffigurazione di San Paolo di Costantinopoli – santo orientale che ha difeso l’ortodossia della chiesa al tempo di Costantino – insieme a San Basilio, che si trova effigiato nella cripta inferiore, testimonia la presenza, o quantomeno la grande influenza dei monaci bizantini in questa zona ancora qualche secolo dopo la cacciata politica di Bisanzio. L’accostamento a San Vito, santo si origini lucane, conferma la contaminazione della cultura bizantina con quella più prettamente locale, sì da considerare, ormai pacificamente, che le raffigurazioni delle nostre chiese rupestri siano espressione di un’arte autoctona che ha adattato alla cultura mediterranea i modelli che arrivavano dall’oriente.
Nel terzo archivolto, appena visibile, è Sant’Agostino. Il Dottore della Chiesa si presenta in abiti episcopali, con gesto benedicente e regge il pastorale con la sinistra.
Ben due sono le Déesis ancora visibili nella chiesa superiore. La tradizione vuole che la composizione della Déesis (Cristo Pantocratore al centro, la Madonna e San Giovanni Battista ai lati) richiami il carattere funerario della cripta stessa. Il Cristo Pantocratore (dal greco “onnipotente”) è una raffigurazione sacra ampiamente diffusa in ambito bizantino soprattutto dopo il X secolo, e sta ad indicare, nel suo significato escatologico, la venuta di Gesù alla fine dei tempi. Il volto del Cristo, Colui che verrà a giudicare i vivi e i morti, è spesso severo, ma la figura si presenta sempre benedicente. Ai lati del Cristo si trovano quasi sempre due figure molto importanti nella tradizione cristiana, la Vergine, che è alla destra del Figlio e intercede per noi, ed il precursore del Cristo, l’ultimo profeta, San Giovanni Battista. Le due figure sono rivolte verso il Cristo e a Lui raccomandano l’anima del defunto. Sull’estradosso sono visibili due Angeli con l’iscrizione ” cherubin”. Diversi sono gli elementi stilistici latineggianti delle due Déesis, e ciò ha condotto molti studiosi a datarle entrambe al XIV secolo.
Nella prima Déesis il Cristo è rappresentato come generoso Salvatore ma, rispetto allo schema canonico di questo tipo di composizione pittorica sacra, il consueto San Giovanni Battista è stato sostituito da San Giacomo, e ciò ha indotto alcuni studiosi ad avanzare l’ipotesi che la cripta fosse in origine dedicata proprio a questo Santo apostolo. La sostituzione del Precursore ha probabilmente voluto mettere in evidenza una particolare devozione locale per quel Santo (che potrebbe essere messa in relazione alla valva votiva di pecten jacobeus ritrovata in una tomba del cimitero del villaggio rupestre). Il Cristo, dal volto solenne e dignitoso, meno severo di quello presente nella chiesa di S. Nicola, ha il tradizionale manto blu (segno della sua umanità) sulla tunica rossa (segno della sua divinità), è seduto su un ricco trono e reca nella mano sinistra un libro aperto con le iscrizioni “ego sum alfa et omega”.
Nell’intonazione d’insieme dell’altra Déesis dell’abside centrale prevalgono i toni scuri. Il volto di Cristo appare qui più severo, con barba folta e lunghe chiome, l’abito ha pieghe più ampie ed abbondanti. Sul libro che il Cristo tiene in mano era un tempo visibile la scritta “Ego sum lux mundi”. L’aureola È crucifera.
Nella terza abside a sinistra non è più visibile quasi alcuna traccia dell’affresco originario, raffigurante una Madonna col Bambino tra gli angeli Michele e Gabriele, se non il viso dell’Arcangelo Gabriele (appena visibile l’iscrizione esegetica), che peraltro è stato giudicato da alcuni critici come espressione artistica elaborata e altamente raffinata, ovvero uno dei soggetti pittorici più belli del comprensorio della “civiltà rupestre” pugliese. L’altare, di poco sollevato dal piano di calpestìo, è staccato dalla conca absidale, secondo l’uso greco.
Lungo la parete sinistra troviamo altre evanescenti tracce di affreschi, Santa Margherita (Marina per la chiesa orientale e Margherita per quella occidentale), considerata la patrona delle gestanti, San Giovanni Evangelista, ed un Angelo. A sinistra del secondo ingresso è raffigurato San Vito. Sul soffitto immediatamente di fronte all’ingresso è visibile un affresco raffigurante un’Aquila nera con un libro fra le zampe, che è il simbolo dell’Evangelista Giovanni.
Un affresco di San Giorgio a cavallo, risalente alla fine del XIII secolo, è presente sulla colonna sinistra di fronte all’ingresso. Si pensa, come detto, che questo affresco sia stato “mutilato” durante lo scavo della terza navata, nel XIV secolo. San Giorgio è una figura molto frequente nelle nostre cripte, venerato particolarmente dai Longobardi prima e dai Normanni poi. Santo di origine orientale, fu nelle milizie di Diocleziano e venne martirizzato nel 300, prima quindi della venuta di Costantino. Il Santo veniva spesso rappresentato da solo o in lotta con il drago, come nell’episodio della liberazione della figlia di un re, altre volte a cavallo secondo la tradizione bizantina. Generalmente nei nostri affreschi compare in galoppo mentre trafigge con la lancia il drago che crolla sotto i suoi piedi. Il giovane Santo guerriero, dall’aspetto fiero e vittorioso, era estremamente caro ai bellicosi popoli nordici che si affidavano alla sua intercessione quando si accingevano alla battaglia.
Sulla facciata del pilastro che guarda l’abside centrale è raffigurato San Simeone lo Stilita, santo orientale tra i meno rappresentati nell’iconografia rupestre dell’Italia meridionale. La tradizione cristiana ricorda due San Simeone (rispettivamente zio e nipote), entrambi eremiti, vissuti nel II secolo. La presenza del serpente che si avvinghia alla colonna ci conferma che si tratta del Giovane, infatti San Simeone il Vecchio – al quale si fa risalire la fondazione dell’ordine degli Stiliti – viene rappresentato prevalentemente col solo attributo della colonna. Egli, fattosi monaco, si ritirò in una capanna e vi passò 3 anni di digiuno continuo, rimanendo quasi sempre in piedi. Si trasferì quindi in un deserto, digiunando e pregando in cima a colonne sempre più alte. Molti pagani accorsero a visitarlo, ed egli predicando invitava i pagani alla conversione ed i cristiani alla penitenza. Il culto locale di questo Santo eremita ci conferma che le grotte erano considerate, soprattutto dai monaci orientali, luoghi di contemplazione e di isolamento dalla realtà. San Simeone si era ritirato su un’alta colonna, i monaci bizantini avevano scavato nel sottosuolo; due modi diversi, eppure così simili di ricercare la solitudine e Dio, che è sì nell’alto dei cieli, ma è anche nel più profondo di noi stessi.
Altre tracce di affreschi rappresentano un Santo con barba, una Santa con diadema turrito, Santo Stefano ed una Vergine con Bambino.
La cripta inferiore
Come abbiamo ricordato più volte, Sant’Angelo è l’unico caso in Puglia di chiesa rupestre a due piani ipogei, soluzione architettonica della quale si ritrovano numerosi esempi in Cappadocia e, più in generale, in tutto il mondo bizantino. La presenza di questo secondo livello, nel cui pavimento sono state ritrovate ben sei tombe, insieme alla duplice Déesis della chiesa superiore – alle quali si aggiunge una ulteriore rappresentazione “anomala” in quella inferiore – confermano la consacrazione al rito dei defunti e il ruolo eminentemente privato di questo luogo.
Dal punto di vista planimetrico la chiesa inferiore, più piccola di quella superiore, si presenta più organica, concepita secondo un unitario criterio architettonico e in uno spazio temporale più ristretto. Anch’essa è scavata a tre navate, divise da due pilastri monolitici. Il vano fu utilizzato probabilmente anche per l’esercizio del culto, come dimostra la presenza del sedile litoide utilizzato dai fedeli durante la celebrazione del rito liturgico, ma servì principalmente come cripta funeraria, come dimostra la indiscutibile testimonianza delle tombe scavate ed allineate sul pavimento.
Il fondo è scandito da tre absidi di cui quella centrale, a fondo piatto e con estradosso leggermente inflesso, conserva un altare di tipo latino. L’abside laterale sinistro presenta nella calotta emisferica un moncone di altare di tipo latino, e l’abside destra ripete lo stesso schema.
Nel piano di calpestìo troviamo sei tombe prive di cuscino e poste con la testa di fronte ad est. La tomba più grande misura m.1,80x50x68, la più piccola 80x30x42. Quattro tombe erano state violate in precedenza, e le due intatte, grazie agli scavi condotti dall’équipe diretta dal prof. Roberto Caprara nell’estate ’72, hanno permesso di datare il complesso funerario alla prima metà del XII secolo, in seguito al ritrovamento di 2 monetine bronzee ai lati delle ginocchia di uno degli scheletri, curiosa testimonianza della sopravvivenza di una consuetudine funeraria tipica del mondo longobardo.
Nella calotta absidale di destra è visibile l’unica Déesis, seriamente danneggiata, della chiesa inferiore di Santè Angelo. Qui gli elementi tradizionali degli Adoranti sono stati sostituiti. L’affresco rappresenta il Gesù Pantocratore seduto su di un trono, che con la destra benedice e con la sinistra regge un libro che riporta frammenti di iscrizioni esegetiche indecifrabili, posto al centro tra San Basilio, padre del monachesimo orientale, che regge un libro chiuso con le due mani al posto consueto della Vergine (a destra) e Sant’Andrea, protettore della chiesa di Bisanzio (a sinistra) al posto del Precursore. La sua datazione viene fatta risalire al XIV secolo. Al di sotto del dipinto resta un moncone di altare di tipo latino.
L’abside centrale è a fondo piatto e non presenta traccia di motivi iconografici nè resti di altare, anzi al suo posto vi è una grossa e profonda buca, opera dei soliti scavatori sacrileghi che hanno letteralmente sfondato la parete alla ricerca di chissà quale tesoro.
Nell’abside laterale sinistra non vi sono tracce di affreschi, mentre l’altare di tipo latino è il meglio conservato della chiesa ipogea.
Fra i Santi raffigurati nella decorazione dell’aula, molto danneggiata e deteriorata, primeggia per il buon stato di conservazione e per la riuscita esecuzione artistica un santo molto caro all’agiografia latina, San Pietro, il cui dipinto si trova nel sottarco che divide la navata di destra da quella centrale. E’ raffigurato con barba corta e nera, regge nella mano sinistra un anello con tre chiavi e un rotolo con l’iscrizione “TU SEI CRISTO, FIGLIO DEL DIO VIVENTE”. Altre tracce di affreschi sono nel sottarco della navatella sinistra, un probabile San Paolo, e sulla parete destra presso le tombe, che mostra una scena complessa e molto rovinata, recentemente interpretata come il Martirio di San Bartolomeo.
La presenza di Pietro, Andrea e Basilio nell’iconografia della cripta testimonia una continua oscillazione dall’XI secolo al XIV secolo fra la cultura orientale – vivamente sentita in Puglia per la sua vicinanza a Bisanzio e la colonizzazione del IX-XI secolo – e la cultura latina, difesa e diffusa dai Longobardi prima e dai Normanni poi. In tal modo, iscrizioni latine si alternano e si affiancano ad iscrizioni greche, Santi latini si mescolano a Santi orientali e la Puglia, testimone di tutto ciò, ingloba le due culture, le “rivisita” con le maestranze locali e ce le restituisce, più o meno ben conservate, affinchè noi, attraverso la storia e l’arte sacra, possiamo imparare a riconoscere le radici storiche della tolleranza e dell’ecumenismo.