Chiesa rupestre di Santa Margherita

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La Chiesa rupestre di Santa Margherita

Chiesa, dalla insolita planimetria, è estremamente suggestiva e rappresenta una vera e propria “perla” della civiltà rupestre. E’ ubicata circa un chilometro ad est della masseria di Casalrotto ed è scavata sulla parete sinistra della omonima lama.
Si giunge all’interno della cripta dopo aver goduto della vista della selvaggia e prorompente vegetazione spontanea della gravina e dopo aver attraversato uno stretto camminamento a strapiombo sul burrone. Un piccolo antro ipogeo sottostante l’ingresso è probabilmente a destinazione funeraria. La larghezza totale della chiesa è di m. 6.28, la lunghezza di m. 9.70 (compresa l’abside), l’altezza di m. 2.50; i pilastri – di cui uno monco – sostengono il soffitto piano, reggono due archi e dividono in due navate con abside il grosso invaso rettangolare; il primo pilastro, a sezione quadrata, è collegato ad un altro in prossimità dell’ingresso creando con il terzo, che chiude e delimita lo spazio, una sorta di atrio, un portico interno, una chiesa a sviluppo longitudinale con porticati laterali e due braccia ortogonali.
Sul fondo del primo abside, a fondo piatto, troviamo un altare addossato al muro; nell’altro vano abbastanza irregolare, scavato sulla destra del primo, di notevole ampiezza, con parete di fondo incurvata e affrescata, vi sono i resti di due altri altari. Gli ambienti sono muniti del sedile in pietra (subsellia) che corre tutto intorno, e che è più alto nel vano a sinistra.

Gli affreschi della chiesa rupestre di Santa Margherita


La cripta è dedicata a Santa Margherita, una cui prima immagine, forte e delicata al tempo stesso, è affrescata sul pilastro che fronteggia l’ingresso. Margherita, secondo il nome di tradizione occidentale – in origine Santa Marina di Antiochia di Pisidia – Santa protettrice delle gestanti, è racchiusa in un’archeggiatura a tutto sesto, proprio come in un’icona lignea, ed ogni elemento è riccamente decorato. La Santa indossa una veste sfarzosa, tipicamente bizantina, decorata a cerchi e a fogliette; i bordi sono arricchiti da ricami a losanghe; il manto è orlato da perline e da un motivo a croce. Una ricca corona da cui scendono nastri gemmati è poggiata sui capelli ondulati intrecciata con altri nastri. Santa Margherita tiene nella mano destra la croce alzata, simbolo del martirio, mentre la mano sinistra è poggiata sul petto a palma aperta. La sua esecuzione curatissima, quasi miniaturistica, e l’uso di colori caldi, sottolineati dalle lumeggiature, l’hanno fatta proporre come uno degli esempi migliori della produzione pittorica provinciale pugliese nel periodo della dinastia imperiale bizantina dei Comneni (XII secolo), probabilmente influenzata da modelli di origine balcanica.
A partire dall’ingresso, possiamo vedere sulla parete di sinistra un S. Antonio Abate. Fondatore della vita monastica in Egitto, rappresenta una delle massime figure dell’ascetismo cristiano dell’antichità. Morì a 105 anni ed è ricordato come protettore degli animali domestici.
Accanto ad esso possiamo notare una prima rappresentazione an-iconica di un Miracolo di S.Nicola di Myra. Si tratta dell’unico esempio di dipinto rupestre in Puglia che illustri il miracolo del Santo, il quale appare in sogno ad un padre che a causa della povertà pensava di prostituire le tre figlie, dandogli il denaro necessario a costituire la loro dote. Questo miracolo del Santo è stato reso celebre da Dante Alighieri, che ne fa cenno nella Divina Commedia (Purgatorio, XX, 31-33). Nell’affresco è visibile un uomo dormiente in una stanza mentre una mano scende dall’alto. Nella parte superiore dell’edificio, in una loggetta, sono rappresentate le tre figure femminili, con i volti stupefatti. La datazione proposta dagli studiosi è il XIII-XIV secolo, periodo nel quale nella pittura murale e nelle icone pugliesi cominciano ad affermarsi decisamente modelli interpretativi maggiormente legati alla cultura ed al gusto espressivo occidentali, come nelle due contemporanee e famose “icone di Bisceglie”, che illustrano rispettivamente episodi della vita del Santo di Myra e di Santa Margherita e che sicuramente hanno influenzato gli artisti che hanno affrescato gli analoghi temi agiografici nella cripta mottolese.
Accanto a questo dipinto notiamo un San Michele Arcangelo ascrivibile al periodo angioino (XIII-XIV secolo), rappresentato in costume imperiale come Archistratega, che reca in mano una lancia ed il globo celeste con l’iscrizione “Cristo vince”. L’Angelo è in perenne lotta contro il drago che sconfigge e caccia dal cielo. Il suo culto in Oriente è antichissimo, mentre in Occidente viene diffuso dalla cultura bizantina e diventa il patrono e protettore dei bellicosi Longobardi. L’arte dei primi secoli lo rappresenta come nunzio o guardia del Paradiso, in veste bianca, ali policrome, lancia e globo, poi come capitano delle milizie celesti (archistratigos), d’aspetto severo in completa armatura, oppure come domatore del demonio o del drago, trafitto dalla lancia sotto i suoi piedi.
Segue la raffigurazione della Vergine con Bambino, probabilmente una Vergine Glycophilousa o della Tenerezza, dal volto espressivo e delicato che siede su di un trono e tiene il Bambino in braccio, guancia a guancia. Anche questo dipinto risale probabilmente al XIV secolo, e la parte bassa dell’affresco è molto rovinata. Accanto si trova un trittico rappresentante S. Lorenzo, con la scritta esegetica (lau)RENCIVS, che indossa il chitone di colore rosso con decorazioni circolari. In una mano porta un incensiere, un libro e una borsa. San Lorenzo viene raffigurato come ministro del culto della chiesa romana. Nato probabilmente in Spagna, martire nel 258, venne arso vivo su di una graticola. Accanto, San Marco, uno dei quattro evangelisti. Compagno d’apostolato di S. Paolo e poi di S. Pietro a Roma, secondo una tradizione avrebbe fondato la chiesa d’Alessandria d’Egitto, ove sarebbe morto; da qui le sue reliquie sarebbero state traslate a Venezia, città della quale Marco divenne il patrono. Il trittico si chiude con un Santo Vescovo anonimo per la perdita delle iscrizioni esegetiche. Gli studiosi fanno risalire la stesura della composizione al XIV secolo.
Accanto vi è un San Giorgio, ritratto sul cavallo bianco nell’atto di trafiggere il drago. Il Santo indossa alti calzari ed una tunica con puntini bianchi, che vuole raffigurare probabilmente la maglia metallica dell’armatura. Tra il nimbo e la criniera del cavallo vi è lo scudo. La figura è sviluppata in larghezza, a differenza del più armonico San Giorgio dipinto nella chiesa di San Nicola, per cui occupa gran parte della parete, esprimendo comunque un maggiore senso di movimento. Per quanto riguarda il confronto tra i due dipinti, possiamo dire che il San Giorgio di San Nicola ha il viso più dolce e più nobile, mentre questo sembra essere un po’ più rozzo nella figurazione. Si pensa che anche il San Giorgio di Santa Margherita possa essere databile al XIV secolo, così come le due figure femminili che seguono.
Presso l’affresco del Santo guerriero, sul lato sinistro dell’abside si notano infatti due immagini sbiadite rappresentate in posizione frontale, che raffigurano una seconda Santa Margherita ed una Vergine con Bambino.
Nell’abside è affrescato il Cristo Pantocratore in Déesis, anch’esso ascrivibile al XIV secolo, che benedice alla greca e regge il libro sacro naturalmente aperto (solo il Cristo può avere il libro aperto), sul quale è leggibile l’iscrizione latina “EGO SVM LVX MVMVNDI (la ripetizione della MV è un evidente errore di trascrizione da parte del frescante, n.d.r.) QUI SEQUITUR NON AMBULAT IN TENEBRIS”, ovvero “IO SONO IL SIGNORE DIO TUO, CHI MI SEGUIRA’ NON CONOSCERA’ LE TENEBRE”. Il Cristo è rappresentato tra la Vergine ed il Precursore, San Giovanni Battista, quest’ultimo con le mani tese verso il Cristo. La figura del Cristo appare sproporzionata rispetto alle altre due figure, ha il nimbo crucifero, la barba e la chioma sono ondulate ed il manto con ampie pieghe è appena poggiato sulla spalla destra così da lasciare libero il braccio benedicente.
Accanto al Battista, nel sottarco destro della Déesis è visibile una delle rare rappresentazioni in ambito rupestre della Vergine Allattante (Galaktotrouphousa), purtroppo molto rovinata. A destra si leggono le scritte esegetiche “MAT-DOI” e più sotto “IC-XC”. Si nota la mano della Madonna che stringe tra l’indice e il medio la mammella ed il Bambino alza il viso e prende la mano della Madonna. Anche questo dipinto risale probabilmente al XIV secolo.
Seguono poi, nel sottarco che introduce al secondo ambiente, due tra i più antichi affreschi del tempietto. Il primo rappresenta Santa Margherita, attribuita all’arte provinciale comnena del XII secolo. Il dipinto, che mostra una certa durezza arcaica e popolaresca, mostra la Santa con la veste riccamente decorata di fregi di perle, appunto “margaritae”, con una corona a tre ordini di grosse gemme rettangolari sul capo, col mantello il cui drappeggio forma una specie di M gotica rovesciata, un libro nella mano sinistra e una croce nella destra. Ai piedi dell’affresco è presente la iscrizione deprecatoria “Memento D(omi)ne / famuli tui / Saruli sa/cerdotis”, ovvero “Ricordati o Signore del tuo servo Sarulo, sacerdote”, che ritroveremo anche presso la chiesa rupestre di San Nicola.
Di fronte alla Santa Margherita, prima della rappresentazione del suo martirio, è affrescato l’Arcangelo Michele. L’icona è prettamente di schema e stile bizantino e può essere datata al XII secolo. Il Santo ha un ricco costume il cui loros è decorato da ampie girali a forma di foglie e non si riesce a vedere la mano che tiene l’asta. Il dipinto in genere è molto rovinato, infatti anche il globo è poco visibile. La figura si presenta con atteggiamento nobile, il volto ovale leggermente allungato e occhi a mandorla, la chioma riccioluta adorna di un nastro trapuntato di perle bianche, che fregiano anche il nimbo.
Nel vano semicircolare le decorazioni continuano con i dieci riquadri che raccontano la storia del Martirio della Santa, resa celebre nel Medioevo dalla Leggenda Aurea di Jacopo da Varagine. Queste tavole, affrescate con tecnica quasi fumettistica e con stile popolaresco, possono essere attribuite al XIII-XIV secolo e rappresentano una rarità in ambito rupestre, in quanto le scene della vita della Santa si conservano solo in questa cripta e nella chiesa di Sant’Antonio a Laterza. Marina/Margherita era molto venerata sia in Oriente che in Occidente, ma la Chiesa greca – che la chiama megalomartire – la cita già a partire dal IV secolo e la ritiene una dei suoi dodici Santi Ausiliatori. Si narra che la Santa fosse nata ad Antiochia di Pisidia da una nobile famiglia pagana, ma venne ripudiata dal padre perchè cristiana. Un giorno, mentre custodiva un gregge, fu vista dal prefetto Olibrio che se ne invaghì e la volle con sè. A causa della sua professione di fede fu rinchiusa in una cella, nella quale continuò a pregare e per questo fu flagellata ed artigliata con uncini. Durante la sua prigionia ebbe un conflitto con il demonio sotto forma di drago, continuò a subire altre torture ma, nonostante fosse stata posta in una caldaia d’acqua bollente, riuscì a sopravvivere. Venne quindi decapitata mentre pregava Dio per tutti coloro che l’avrebbero invocata, in modo particolare per le gestanti. Per questo motivo Santa Margherita è venerata come la protettrice delle partorienti.
Dopo aver osservato le tavole del martirio di Santa Margherita, molto rovinate dalle muffe, ci imbattiamo nella successiva rappresentazione di San Demetrio. Demetrio fu il primo vescovo di Tessalonica (l’odierna Salonicco) e lottò contro alcune eresie. Qui è rappresentato a cavallo mentre trafigge con la sua lancia una figura, con ogni probabilità il re dei Bulgari Kalojan, salvando così dall’assedio la città greca, secondo la leggenda bizantina originata da avvenimenti storici e bellici verificatisi realmente all’inizio del XIII secolo.
L’affresco è seguito da un Santo Stefano (XIV secolo) di chiara fattura popolaresca nei lineamenti del volto, che indossa una tunica chiara con pieghe malamente distribuite, ricche decorazioni a losanghe e lo scollo decorato con perle. Ha in mano il libro e l’incensiere. Il nimbo è limitato da perle, il volto, di forma ovale allungata, dalle rosse guance e dagli occhi troppo vicini ma estremamente espressivi. Il fondo dell’affresco è dipinto in tre zone orizzontali sovrapposte.
Subito dopo è visibile un Cristo monocromo a mezzo busto con l’iscrizione IC XC, in ocra rossa, seduto su una cattedra e benedicente, mentre regge con la sinistra il rotolo della legge. E’ abbastanza probabile che si tratti di una sinopia (disegno preparatorio) di un affresco rimasto incompiuto, ed è da attribuire al XIII-XIV secolo. Sotto il Cristo monocromo vi è un altare decorato di tipo latino, cioè addossato alla parete; potrebbe anche trattarsi di un battistero, ed a conferma di ciò appaiono delle iscrizioni che sembrano appunto accennare al fonte battesimale. Presso l’altare vi sono inoltre due cisterne, scavate nella roccia e collegate da un ancora efficiente sistema di incanalamento delle acque piovane.
Segue sulla parete destra una Vergine del Buon Cammino: il Bambino si volge con gesto vivace ed espressione molto dolce ad accarezzare il mento della madre. Le figure sono tracciate a tratti scuri ad hanno mani molto allungate e vesti con numerose pieghe indicate da tratti scuri. Gli studiosi collocano questa rappresentazione al XIV secolo.
Il secondo altare presenta una decorazione con girali che si concludono con una croce, che starebbero a rappresentare la Crocifissione. Questo tipo di decorazione è molto diffuso nell’ambito della cosidetta “pittura lineare” del periodo iconoclasta, specie in Grecia, nell’isola di Naxos e in Cappadocia, e dovrebbe risalire, secondo alcuni recenti studi, ai primi decenni del IX secolo. Probabilmente le girali sono state successivamente nascoste da un altro strato di intonaco palinsesto, la cui caduta ci ha rivelato l’originaria decorazione dell’invaso sacro. La tesi che abbiamo esposta porterebbe a retrodatare in maniera sensibile l’escavazione della cripta almeno all’VIII-IX secolo d.C., epoca delle lotte iconoclaste.
Sul pilastro centrale si può ancora notare una Grande Vergine della Tenerezza, databile al XIV secolo. La Vergine con nimbo, a mezzo busto, regge sul braccio destro il Bambino benedicente che si volge ad accarezzare con gesto vivace il mento della madre. Il volto del Bimbo e la metà destra di quello della Vergine sono stati asportati in passato da ignoti vandali. Infine, sulla parete destra dell’ingresso, restano labili tracce appena leggibili di un San Giovanni Evangelista.

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