La Cantina Spagnola è un ipogeo che probabilmente all’origine era una chiesa, per la presenza di tracce di affreschi a carattere sacro, come la Natività e il Peccato Originale. In seguito, essa divenne un luogo di incontro per usi profani, con la presenza degli Spagnoli a Laterza nel ‘600: ciò si desume da alcune iscrizioni con datazioni e da numerosi affreschi raffiguranti dame e cavalieri, tipicamente abbigliati alla maniera spagnola di quel periodo, tanto da costituire un vero e proprio saggio della moda dei tempi. La stessa tipologia di personaggi è raffigurata come motivo di decorazione su piatti e vasellame della preziosa e raffinata maiolica laertina seicentesca.
Alcuni studiosi identificano, percorrendo la sequenza delle scene affrescate su tutte le pareti della Cantina, a partire dal lato sinistro dell’ingresso, fino ad arrivare al lato destro, tutta una serie di simboli, legati ad un viaggio iniziatico dell’adepto alla cavalleria. In particolare, si pensa che la famiglia dei marchesi Perez Navarrete, feudatari di Laterza in quel periodo, avesse scelto questo luogo, vicino alla propria abitazione, ma lontano da sguardi indiscreti e appartato, e lo avesse fatto decorare con queste particolari sequenze di affreschi, affinché potesse accogliere, in occasioni particolari, i cavalieri insigniti dell’ordine dell’Alcantara, a cui gli stessi marchesi appartenevano.
Le fonti scritte non ci parlano di citazioni dirette relative al toponimo “Cantina spagnola”, ma comunque indirettamente alludono ad una “cantina tutta pittata dalla parte di dentro”.
La pianta è longitudinale, divisa in due vani, con pareti irregolari. Nel pavimento vi è una cisterna a campana e, in corrispondenza di questa, sulla volta spiccano due “mascheroni” a bassorilievo. Sulla parete destra vi è un ampio incavo, utilizzato successivamente come palmento. Sulla parete sinistra, orientata ad est, si nota una nicchia e un probabile altarino sormontato da una seconda nicchia e, in basso, un sedile addossato alla parete. Anche questi elementi possono suggerire un originario uso sacro della grotta.
Nella parete posteriore della Cantina lo spazio è diviso longitudinalmente da un gradone alto 50 cm e largo quasi un metro, lungo circa m. 5,60 e distante dalla parete sinistra di circa un metro. Un altro gradone parte dalla parete destra e si protende in direzione ortogonale al primo, quasi a volersi congiungere. I due gradoni forse servivano come banconi o piani d’appoggio.
La parte in fondo all’ipogeo è divisa da un tramezzo a tre varchi, di cui due con stipiti affrescati. In quest’ultimo ambiente c’è un sedile addossato alle pareti perimetrali e la volta è divisa in tre settori a vela.
Riguardo gli affreschi, si possono identificare in due gruppi, in quanto alcuni hanno carattere sacro ed altri profano. Proprio questa commistione rende la Cantina Spagnola un vero e proprio “unicum” in ambito rupestre. Inoltre, sono presenti anche iscrizioni e altorilievi.
Dopo l’ingresso, subito sulla parete sinistra, appaiono dei residui di affresco difficili da decifrare, tuttavia, si intravedono due colonne con fasce nere, a forma di sinusoide, che si intrecciano. Alla base delle due colonne si intravedono dei mattoni grigi e due gambe di un personaggio, con tracce di colore arancione, rosso e giallo. Dalla seconda colonna partono due arcate: su quella che va verso sinistra c’è l’iscrizione COB; sull’altra, che va verso destra, c’è l’iscrizione MA. Superiormente, c’è un’iscrizione indecifrabile e, tra questa e gli archi delle colonne, c’è una grande cornice, uguale a quella che si rinviene nella seconda parte della grotta. Nella parte destra delle colonne è dipinto un muretto di piccoli mattoni su cui c’è una torre e un cavaliere, che è molto più grande della torre stessa. Sia i colori sia le fattezze del cavaliere sono come quelli dei cavalieri raffigurati nella seconda parte dell’ipogeo. A destra del cavallo, inferiormente, si intravedono le due gambe di un cavaliere, di cui la sinistra è di legno.
Verso la fine del primo vano si trovano due edicole, sotto le quali vi è una cornice con motivo floreale così come si ritrova decorata nel secondo vano. Sopra le edicole, aventi una cornice con duplice fascia nera, separata da una fascia rossa con decoro giallo, forse vi è un’iscrizione.
Procedendo nella seconda parte del vano, sulla parete sinistra, in alto, c’è una lunga fascia bianca che separa la volta dalla parete. Su tale fascia vi è il riferimento ad una data (1664) entro l’iscrizione: “…US…(FE)CIT SUO ANNO DOM: MCCCCCCLXIIII”. Segue una divisione, con un tratto verticale e strisce oblique, quindi vi è il versetto di Matteo (II, 1): “MAGI AB ORIENTE VENERUNT”: il riferimento è ad alcune figure a mezzo busto, scolpite, oggi purtroppo andate perse, che potrebbero essere i Magi. Le due iscrizioni potrebbero appartenere ad epoche diverse, poiché la prima ha caratteri che risaltano sullo sfondo biancastro, mentre la seconda ha un colore più sbiadito ed è forse più antica della precedente.
Sotto la prima iscrizione vi è una larga fascia con una serie di decorazioni a foglie azzurre, con sfumature gialle e celesti, su fondo blu.
Queste decorazioni sono poste superiormente a numerose figure di probabili cantori spagnoli, una volta provvisti di volti in rilievo, che purtroppo sono stati scalpellati. Gli abiti che indossano questi personaggi sono dello stesso genere di quelli presenti sulla parete opposta: si tratta di pantaloni aderenti a righe, con colori dal verde scuro al giallo crema, stivaloni, giacche a falde molto ampie, cotte di tipo ecclesiastico chiuse da un cordone intorno al collo: un vero e proprio “saggio” della moda spagnola d’epoca seicentesca. Tra questi cantori c’è un omino, con le braccia sollevate, ritratto di spalle, rivolto verso di loro.
Ancora avanti, sempre sulla parete sinistra, vi è l’affresco di una “Natività” racchiusa in due cornici. La prima è attorno all’affresco, mentre la seconda è più esterna e circonda la serie dei dipinti. Le due cornici hanno un motivo a scaglioni o frecce e, alternati, i colori bianco, rosso e blu. Sulla sinistra vi è la Vergine a mani giunte, con il viso rivolto in basso verso il Bambino, poggiato sulla paglia. Si distingue il manto blu, parte del viso marrone, una ciocca di capelli che fuoriesce dal cappuccio, il nimbo arancio. Al centro della scena, un orecchio e un corno (forse il bue) e, a sinistra, un altro orecchio aguzzo (forse l’asino) con macchie di colore (forse San Giuseppe). Dentro la cornice vi è l’iscrizione: “PRESEPE NON ABHORUIT ET (LA)CTE MODICO (P)AST(US EST)”, tratta da una laude di San Venanzio Fortunato.
Superiormente all’affresco vi è un mezzo busto a rilievo, con viso ovale e occhi allungati, il cosiddetto “monacone”.
Sempre sulla parete sinistra, in una cornice simile alla precedente, vi è un affresco poco leggibile, raffigurante il Peccato Originale, avente la scritta: “ANGELUS EXPELIT DIABOLUM A PARADISO”. Sotto l’iscrizione vi sono due altorilievi scalpellati, che forse rappresentavano il Diavolo sotto forma di drago e l’Arcangelo nell’atto di scacciarlo dal Paradiso. E’ rappresentata una fitta vegetazione di foglie a forma oblunga e dalla punta tondeggiante e, al centro, il tronco, attorno al quale è avvolto il serpente.
Sulla sinistra, una figura nuda, di spalle (forse Eva), con un braccio verso l’alto e, in mano, il pomo, preso dall’albero alla sua destra. All’altezza del pomo vi è il volto del serpente e la scritta “SERPES”. Dall’altro lato dell’albero vi è un’altra figura nuda (forse Adamo) pure con un braccio verso l’alto, che tiene un cartiglio, non più leggibile e, in basso a destra, un animale con le orecchie lunghe e aguzze e la coda lunga, pronto a scattare, forse simbolo dell’astuzia e della frode. Sotto l’affresco vi è la scritta “AUDIBI VOCEM TUAM…EO QUIS (NU)DUS ESSEM…QUAM DEDI(STI) COME DE…TE…VEDI”. (Genesi, 3,10 e 3,12). (Il riferimento è a questi versi: 10 “Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura, perché ero ignudo, e mi sono nascosto”. 11 E Dio disse: “Chi t’ha mostrato ch’eri ignudo? Hai tu mangiato del frutto dell’albero del quale io t’avevo comandato di non mangiare?” 12 L’uomo rispose: “La donna che tu m’hai messa accanto, è lei che m’ha dato del frutto dell’albero, e io n’ho mangiato”).
Nel primo vano, sulla parete di fondo, in alto, appare un cavallo sellato in altorilievo, con una cornice su cui vi è l’iscrizione “CAVALLO DI RISPETTO”. Probabilmente si tratta del cavallo di ricambio, che serviva ai cavalieri per affrontare un lungo viaggio.
Ancora nel primo vano e sulla parete di fondo, in alto, appare l’affresco di un gruppo di soldati e si possono distinguere tre diverse scene, fino al palmento.
Nella prima scena, posta sulla parete di fondo, a sinistra vi è un soldato, con capelli lunghi e un alto cappello piumato, un archibugio sulla spalla e, al suo fianco, in secondo piano, un altro soldato, che guarda verso destra, senza cappello. Al centro, un altro soldato, di profilo, con cappello piumato ad ampia falda, lunghi capelli scuri, baffi e barba a pizzo. Segue un ultimo soldato simile al precedente. Nella parte bassa dell’affresco vi è un motivo di decorazione a cerchi in cui vi sono croci patenti: forse un riferimento allo stemma della famiglia dei marchesi Perez Navarrete, a quei tempi presenti a Laterza.
Nella seconda scena vi sono dodici figure, tra cui spiccano: sulla sinistra, una donna dal grosso ventre, i seni cadenti, le grosse cosce, seduta di profilo, con un grande cappello maschile; un soldato, con un cappello piumato sulla testa ed il fucile in spalla; una donna, con lunghi capelli ricci e l’abito rosso e ocra, volgente lo sguardo a sinistra; un soldato, diretto verso destra, vestito come l’altro, con ampi calzoni, decorati con motivi a onde e zig-zag. In secondo piano vi sono volti di soldati e figure femminili.
Nella terza scena, al centro, si nota una figura, rivolta verso sinistra, con un cappello piumato in testa, una giacca gialla decorata con motivi a onde, calzoni rigati, calze rosse, con un’asta in mano. In secondo piano, un personaggio a capo scoperto, similmente vestito, dal volto femminile.
In alto, l’iscrizione “(CHI) VUOL HAVER IL SOLDO, HOR QUI S’ACCOSTA DAL CAPI(TANO) E…”.. Questa scritta fa pensare che la Cantina venisse usata come luogo in cui potersi arruolare.
Nel secondo vano in fondo all’ipogeo vi sono altre due scene, racchiuse entro due cornici a triangolini rossi, bianchi e blu; con gli stessi colori appare la fascia sottostante, a quadratini.
La prima scena, a sinistra della parete frontale, raffigura tredici dignitari ecclesiastici che si dirigono verso sinistra. Essi hanno capelli ricci e scuri, berretti a tricorno, baffetti sottili, barba a pizzo; indossano l’abito talare, ornato da merletti sullo scollo, sulle braccia e sul bordo della tonaca. Essi impugnano i tipici oggetti delle sacre funzioni: libri, turibolo, calice, patene. Il personaggio al centro tiene, nella mano destra, una spada con le punte rivolte in alto, simbolo della giustizia.
La seconda scena, sulla destra della parete, rappresenta tre personaggi. Al centro, una donna con lunghi capelli, che volge lo sguardo e porge la mano destra a un giovane a sinistra, dai lunghi capelli. A destra, un soldato stringe invece la mano sinistra della donna; egli ha baffi sottili, il pizzo sul mento e indossa un elmo spagnolo.
Da notare la caratteristica dei soggetti di questi affreschi, molto simili a quelle dei personaggi dipinti su piatti e vasellame in maiolica di Laterza. Essi ci confermano quali fossero i costumi e la realtà sociale e storica laertina seicentesca.
Alcuni studiosi identificano, percorrendo la sequenza delle scene affrescate su tutte le pareti della Cantina, a partire dal lato sinistro dell’ingresso, fino ad arrivare al lato destro, tutta una serie di simboli, legati ad un viaggio iniziatico dell’adepto alla cavalleria. In particolare, si pensa che la famiglia dei marchesi Perez Navarrete avesse scelto questo luogo, vicino alla propria abitazione, ma lontano da sguardi indiscreti e appartato, e lo avesse fatto decorare con questi affreschi, affinchè potesse accogliere, in occasioni particolari, i cavalieri insigniti dell’ordine dell’Alcantara, a cui gli stessi marchesi appartenevano.